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Suonare il pianoforte con l’attrezzatura da alpinismo

Suonare il pianoforte con l’attrezzatura da alpinismo

“IX KLA VIER E” è il nome della performance di mezz’ora di Nick Acorne, per la quale sono stati costruiti 3×3 pianoforti uno sopra l’altro nell’anticamera. Davanti a loro si estendeva un’impalcatura, sulla quale Acorne poteva agilmente arrampicarsi. Dotato di un elmetto e di una cintura alla quale pendevano utensili da cucina di ogni tipo, controfissati da una corda, egli oscillava non da un ramo all’altro ma da un pianoforte all’altro, suonando brevi brani su ciascuno di essi. Il risultato era una composizione davvero mozzafiato, ma prima di tutto per il pianista stesso. Ogni volta, infatti, doveva arrampicarsi per diversi metri, sia in salita che in discesa, o spostarsi lungo i montanti metallici per raggiungere lo strumento successivo. I pianoforti stessi erano preparati e avevano caratteristiche sonore diverse.

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“IX Kla vier e”

L’elemento fondamentale di ogni lezione di pianoforte – la corretta posizione della mano e della seduta – si è rivelato ad absurdum in questa performance. Nelle zone più alte, Acorne ha dovuto trovare un appiglio appeso alla corda o inginocchiarsi davanti ai pianoforti nella zona più bassa. È stato sorprendente che, nonostante le difficoltà sportive, sia emersa una composizione improvvisata che poteva essere ascoltata anche senza arrampicarsi. Il fatto che ogni performance – tre in totale – fosse diversa è ovvio, visto il concetto. L’artista, che in precedenza aveva seguito un corso di arrampicata per principianti, ha dichiarato in un’intervista con Daniela Fietzek che non avrebbe sottovalutato lo sforzo fisico, “ma so da me che quando si tratta di arte, trovo sempre risorse nel mio corpo”.

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“IX Kla vier e” (Foto: ORF musikprotokoll/Martin Gross)

I calzini di colore diverso alla seconda esibizione – uno era giallo, l’altro blu – così come il breve bis – appesi a testa in giù alla corda – parlavano un linguaggio chiaro.

Se da un lato si deve apprezzare la performance fisica e artistica di Nick Acorne, dall’altro non si deve dimenticare che ciò che fa è anche condito da una grande dose di umorismo. Risate e stupore erano ugualmente ammessi.

Quattro donne e un uomo

Quattro donne e un uomo

È stata presentata la prima di “canvas” della compositrice slovena Nina Šenk e della librettista Simona Semenič. Dopo la rappresentazione, la Šenk ha ricevuto il premio del Concorso di composizione lirica Johann-Joseph-Fux, che aveva vinto con quest’opera.

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“canvas” (Foto: ORF musikprotokoll/Martin Gross)

Racconta la storia di quattro donne che, senza saperlo, amano lo stesso uomo. Quest’ultimo svolazza dall’una all’altra a suo piacimento, cercando di manipolare le donne in dipendenze emotive e di mantenerle. Ingo Kerkhof – docente KUG per la Musica Presentazione drammatica (interpretazione scenica) ha curato la regia, Katharina Zotter la scenografia e Gerrit Prießnitz la direzione musicale.

L’orchestra è stata spostata sulla parete sinistra della sala, il direttore d’orchestra si trovava con le spalle al muro e quindi aveva in vista sia l’ensemble strumentale che i cantanti. Una pedana girevole quadrata, ricoperta di bianco e alta pochi centimetri, delimitava l’area in cui la musica veniva suonata e cantata. Inoltre, i cantanti si alternavano a una scrivania rivolta verso il pubblico al margine destro del palcoscenico.

Gli studenti si sono calati in diversi ruoli e hanno mimato, tra gli altri, una parte di operai. Una ragazza ha vissuto la sua tragica morte su una barella d’ospedale proprio all’inizio. Il suo alter ego ha cantato questo processo come se stesse guardando se stessa morire. Le circostanze esatte che hanno portato a questa morte rimangono inspiegabili – le speculazioni in merito possono chiaramente essere individuali.

L’accattivante libretto, composto da movimenti brevi e concisi, con ripetizioni ed espressioni a volte sgarbate, ha offerto al compositore una grande quantità di materiale emotivo, che doveva essere trasposto sonicamente. Šenk è riuscito a lasciare straordinariamente udibili le voci in primo piano e a utilizzare la parte strumentale solo come supporto.

Solo in un passaggio, che parla di abusi sessuali, l’orchestra svolge un ruolo molto più incisivo. In questa parte, il testo è per la maggior parte parlato e l’evento violento è reso evidente dall’infuriare degli strumenti con rumori di schianto e sferragliamento. In questa scena, tutte le donne stanno immobili, vestite di nero, sulla piattaforma e perseverano in questa posizione finché una di loro sussurra: “Devo stare zitta quando è il momento di stare zitta”. Questa frase viene raccolta dalle altre e trasformata in un canto sussurrato che entra nella pelle.

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“canvas” (Foto: ORF musikprotokoll/Martin Gross)

Sono stati ben evidenziati i vari personaggi: donne sposate che temono la scoperta della loro relazione, una giovane ragazza che chiede a Dio di liberarla, un’operaia che vede nell’uomo la realizzazione suprema, una signora che ricomincia a sentirsi giovane grazie alla felicità dell’amore. Lo stesso Womanizer – anch’esso interpretato da una delle donne – entra in gioco solo brevemente e non si mostra né seduttivo né violento. Solo una donna si pone al di fuori della spirale amorosa. Viene annunciata come una donna italiana grassa che entra in scena senza cantare e se ne va di nuovo. È l’unica che non sembra essere emotivamente dipendente, ma che, in base alla descrizione del suo corpo, potrebbe esercitare una forte attrazione sessuale.

Il compositore utilizza quartetti, ma anche arie soliste, e scandisce i cambi di scena con forti rumori respiratori amplificati dal microfono. È l’equilibrio particolarmente riuscito tra parola e musica a rendere questa rappresentazione così speciale. Utile, ma anche esteticamente ben risolta, è stata la proiezione del testo inglese su un grande schermo alle spalle dei cantanti. Inoltre, i cantanti, studenti dell’Università della Musica di Graz, erano tutti molto ben disposti.

Melis Demiray, Lavinia Husmann, Laure-Cathérine Beyers, Marija-Katarina Jukić, Ellen Rose Kelly, Christine Rainer e Ana Vidmar devono congratularsi per la loro grande performance.

Grande contingente al musikprotocol nell’ Steirischen Herbst 23

Grande contingente al musikprotocol nell’ Steirischen Herbst 23

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Marin Alsop und das RSO (Foto: ORF musikprotokoll/Martin Gross)

All’inizio era in programma Sappho / Bioluminescence di Liza Lim. Nella sua composizione ha voluto “aprire uno spazio per la speculazione”, cosa facile da fare visto il titolo. Lim parla sia dell’antica scrittrice, sulla quale si sospetta più di quanto sarebbe stato possibile da lei, ma anche di una piovra che può trasformarsi in un cielo stellato per ingannare i suoi nemici. All’inizio c’è un fremito nei flauti, che passa all’orchestra. Presto si sente una sequenza armonica nelle parti dei fiati, che ricorda fortemente la pratica della musica da film. I protagonisti principali sono ancora e sempre i corni, che si distinguono bene dall’orchestra.

Colpisce e caratterizza anche il fatto che l’intera strumentazione sia quasi costantemente utilizzata. Seguono carillon, violini scintillanti e una brusca interruzione delle arpe, che si sentiranno più volte. Ancora una volta, però, è una melodia di fiati a distinguersi dal resto dell’azione. Dopo un suono orchestrale maestoso e archi sferici, si sente di nuovo il tremito che si era sentito all’inizio. Sia gli ottoni che i fiati hanno la loro parte, con un suono melodioso che scorre attraverso gli strumenti ancora e ancora. Ma anche un piccolo assolo di violino ha la possibilità di presentarsi, sostenuto da piccole interiezioni di arpa. Più volte la bellezza, in cui ci si lascia cadere volentieri, viene interrotta da suoni inaspettatamente duri come quelli di uno xilofono, di un vibrafono o di un’arpa. Il fatto che alla fine venga descritto una sorta di stato di sospensione si inserisce bene e logicamente in ciò che è stato ascoltato in precedenza. Una bella opera che fa venire voglia di ascoltare ancora il compositore.

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Karl Heinz Schütz come solista al flauto (Foto: ORF musikprotokoll/Martin Gross)

Il secondo punto del programma “making of – intimacy” è di Clemens Gadenstätter ed è scritto per flauto solo e orchestra. Karl-Heinz Schütz ha assunto l’impegnativa parte solistica, sfruttando un’ampia gamma di suoni del suo strumento. L’intera orchestra inizia simultaneamente in un ductus eccitato e rapido. Il flauto, che diventa udibile poco dopo, viene rapidamente utilizzato dal grande apparato sonoro per reagire ad esso. Questo gioco tra specificazione e reazione si ripeterà presto al contrario, dopo un selvaggio interludio senza flauto.

Per quanto intenso sia stato l’inizio, poco dopo entra nello spazio un malinconico assolo di flauto, il cui tono lamentoso viene nuovamente ripreso dall’intero strumentario. Ciò che era appena percepibile come lutto si trasforma atmosfericamente in ribellione. Ottoni battenti e squillanti, un ruggito e tamburi rumorosi caratterizzano questa parte. Come in precedenza, l’azione cambia completamente e alle voci sussurranti il flauto tranquillo rimane a lungo su una sola nota. Il lungo passaggio tranquillo è segnato anche da un delicato assolo, che il flautista accompagna anche vocalmente mentre suona. Nel frattempo, l’orchestra si comporta come un animale addormentato, reagendo alla dinamica di un’entrata di Schütz in lingua fluttuante e alle sue corse. Una successiva intensificazione del suono con l’entrata dell’orchestra al completo si sposta agitatamente in uno stato di ruggito, come quello di un animale braccato. Ora tocca al flauto riprendere le corse ascendenti e discendenti dell’orchestra, per poi lasciargli nuovamente la scena. Campane, cimbali, un ottone ruggente, colpi e colpi duri segnano il passaggio violento, che viene nuovamente sostituito da un lungo passaggio tranquillo con respiri vocali. Come in precedenza, l’azione si riaccende, per poi calmarsi rapidamente. Si sentono ora voci, ottoni scuri e un flauto svolazzante, finché tutto si trasforma in un lungo passaggio tranquillo che si spegne lentamente. È un saliscendi, un lamento e un ruggito emotivo quanto un indugiare introverso e malinconico, che è stato trasformato nel linguaggio musicale di Gadenstätter. In cima alla lista di questo lavoro ci sono le emozioni che sono diventate udibili. Emozioni che possono essere interpretate in modo simile dal pubblico, ma non identico, e che quindi lasciano spazio all’interpretazione di tutti.

strange bird – no longer navigating by a star” di Clara Iannotta descrive anche stati emotivi in cui è incorporata la metafora di uno strano uccello svolazzante, “il cui volteggiare senza meta è la fonte delle grida che riecheggiano in una piazza vuota” – secondo la compositrice. Il suo materiale sonoro non è sempre definibile con precisione, una chitarra elettrica è spesso usata come strumento ritmico, archi di violino sfiorano i piatti, ronzii profondi di ottoni segnano un’impressione generale cupa. In ogni caso, ci sono rumori di cinguettii eccitati e stati in cui sembra che il tempo si sia fermato. La Commissione di Composizione 2023 di Emil Breisach si conclude con i suoni degli uccelli, lasciando l’impressione che, con l’aiuto della musica, abbiamo brevemente guardato in un abisso psichico.

A conclusione della serie di concerti è stato eseguito “Scorching Scherzo”, un concerto per pianoforte e orchestra di Bernhard Gander. L’opera è un tipico “Gander“: Intenso, pulsante, in levare, furioso. E lascia il pianoforte nel suo stato aggregato originale, senza preparazione o possibilità di espansione ritmica. Neanche queste sono necessarie, per cui furioso è la parte per lo più assegnata.

Jonas Ahonen ha bisogno di forza e resistenza per contrastare le rapide progressioni di accordi contro l’orchestra in modo che rimangano in punta di suono e non vengano annegate dagli strumenti. Un ritmo sferzante e jazzistico, accompagnato da timpani e bassi all’inizio, nonché corse ascendenti e ripetitive che si concludono con accordi di basso, catturano immediatamente l’orecchio. La selvatichezza, che ha già mostrato il suo volto all’inizio, ritorna ancora e ancora e a un certo punto si disintegra solo nella parte solista del pianoforte. Il pianoforte riprende le corse ascendenti dei fiati sentite all’inizio, finché l’orchestra non ritorna selvaggiamente.

Un altro assolo con brevi corse di spinta rivela una struttura armonica del XIX secolo, nuovamente interrotta da brevi corse, ma con l’inserimento di una melodia. Gli archi si uniscono obliquamente con un timbro comunque dolce e sperimentano un rinnovato inizio di una parte furiosa con i violoncelli e i selvaggi timpani. Un ritmo selvaggio, impetuoso e affannoso, si impadronisce dell’orchestra e supera il pianoforte, ormai appena udibile. L’azione si sposta in una parte dominata dai bassi, dagli ottoni bassi e dai legni, che, se disimpegnata, costituirebbe un’opera impressionante a sé stante. Selvagge progressioni di accordi con esecuzioni simili, ancora una volta sostenute da tutta l’orchestra, formano un altro climax verso la fine della composizione, che termina bruscamente e conduce a una parte varia e tenera portata dal pianoforte e dai violini. Ora non si tratta di spirali ascendenti ma discendenti in una brillante tonalità maggiore che conferisce un nuovo colore al procedimento. L’idea di far risuonare nel finale quelle corse che all’inizio erano udibili nei bassi del pianoforte, ma questa volta negli acuti, forma una meravigliosa parentesi con cui il concerto si conclude.

È stata la combinazione tra l’entusiasmante selvatichezza della parte pianistica tecnicamente impegnativa e le citazioni della letteratura pianistica romantica a rendere il pubblico estremamente entusiasta. Per quattro volte ha riportato sul palco Gander, Alsop e Ahonen per acclamazione. Una circostanza che è un’eccezione assoluta nelle esecuzioni di musica contemporanea.

Con questa serata, la musikprotokoll ha offerto un’opulenza sonora che ha anche dimostrato che le composizioni per grande orchestra non hanno perso nulla del loro fascino. Con grande gioia del pubblico.

Il suono della natura nella sala da concerto

Il suono della natura nella sala da concerto

Il musikprotokoll ha presentato al pubblico dello Steirischer Herbst un programma così denso per ogni serata che molte persone hanno lasciato il rispettivo luogo di esibizione a circa metà tempo. Ciò può essere dovuto non tanto a una mancanza di interesse quanto a un eccesso di ciò che è stato ascoltato e visto. Inoltre, la List Hall, dove si sono svolte tre serate di fila, è servita dal tram in direzione del centro città solo fino alle 23.15. Purtroppo, questo ha fatto sì che molte persone abbiano perso il treno. Purtroppo, questo ha fatto sì che molte persone si siano perse cose che sarebbe valsa la pena ascoltare. Come l'”Aria” di Beat Furrer di questa sera, alla quale non abbiamo potuto assistere.

La serata si è aperta brillantemente con il “Concerto per pianoforte e orchestra” di Kristine Tjøgersen. Al pianoforte c’era Ellen Ugelvik, che non lo ha fatto suonare dai tasti. Piuttosto, mentre l’orchestra suonava, lei costruiva gradualmente nello spazio di risonanza una foresta di piccoli alberi, come quelli che si trovano nelle stazioni di servizio dei modellini ferroviari. Il compositore è affascinato dalla comunicazione degli alberi, che avviene in modo invisibile sotto il suolo, e ha così trovato una realizzazione adeguata alla visualizzazione. Oltre ai suoni, sono soprattutto i rumori come crepitii e sferragliamenti, ma anche fruscii, rumori del vento o il ronzio delle api che si potevano sentire insieme a linee di basso ripetitivamente discendenti, ma anche a piccoli frammenti di melodia. Una volta terminata la costruzione della foresta artificiale, l’esecutore si è occupato di una registrazione video dal vivo, che è stata proiettata sul grande schermo dietro l’orchestra. Il compito che la compositrice si era prefissata per questo concerto, dare voce alla natura nella sala da concerto, è stato effettivamente realizzato in modo udibile e visibile in questo contesto.

Madli Marje Gildemann è interessata agli uccelli notturni e ha cercato di immedesimarsi in questi animali osservandoli. Nella sua composizione “Nocturnal Migrants” (Migranti notturni), crea un suono in bilico che si gonfia e si affievolisce e si ripete in un’esecuzione simile ma non uguale. Un cinguettio di panico tradisce la sventura a un certo punto della composizione, così come una parte dai colori molto scuri che emerge nel basso del pianoforte dopo lo spavento degli uccelli. Il tenore di base è dominato da un’eccitazione, una tensione permanente che si placa solo quando la musica si spegne alla fine della composizione. Il suo lavoro tratta dell’attrazione della luce, che si esercita sugli uccelli e che può avere conseguenze fatali. Ma lei stessa lo descrive anche “come una metafora dei comportamenti impulsivi e compulsivi delle persone… che hanno poca idea dei motivi che le spingono”.

“if left to soar on winds wings” di Karen Power è stato creato insieme alla parte live del Klangforum da suoni registrati che la compositrice ha raccolto in giro per il mondo. Preferisce recarsi in luoghi con poche persone, per poi scoprire di volta in volta che non esistono luoghi al mondo in cui la gente non sia già stata e non abbia lasciato le proprie tracce. Ciò che si sente ovunque come una costante è il vento, anche se in forme diverse. È questo fenomeno naturale che si sente fin dall’inizio della composizione. Nelle sue opere compaiono anche cinguettii e canti di uccelli, ma l’elemento determinante rimane il vento, a cui si può attribuire persino la funzione di basso continuo. “Come molti dei miei lavori, “…se lasciati volare sulle ali del vento…” chiede a ogni esecutore e spettatore di ascoltare tutti i suoni semplicemente come musica che non abbiamo mai sentito prima. Chiedo a tutti noi di aprire le orecchie e di riconnetterci con il nostro ambiente come qualcosa che ci unisce piuttosto che dividerci, e di riconsiderare il nostro potere e la nostra influenza su tutto ciò che ci circonda”. – ha dichiarato Karen Power nella sua dichiarazione, che si può leggere nel libretto del programma.

La performance di “Exercises in Estrangement II – L’animal que donc je suis” di Sandeep Bhagwati è stata originale.

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“Exercises in Estrangement II – L’animal que donc je suis” (Foto: ORF musikprotokoll/Martin Gross)

All’ensemble è stato permesso di muoversi coreograficamente sul palco, trovandosi in costellazioni sempre nuove. Inginocchiati all’inizio, ma poi camminando o ruotando sul proprio asse, i musicisti hanno offerto non solo un’alimentazione uditiva ma anche visiva. Il punto di partenza del lavoro è stato un libro di Jacques Derrida, in cui l’autore esplora le strette connessioni tra animali e uomini. I musicisti si sono calati più volte nei ruoli di animali diversi, comunicando costantemente tra loro. In combinazione con le voci registrate, il cui testo era in parte volutamente incomprensibile, il risultato è stato una rete animale-umana-uditiva i cui singoli componenti non costituivano più un punto focale. I richiami degli uccelli, il ruggito degli elefanti o il frinire delle cicale sono stati ascoltati con l’aiuto di singoli strumenti e voci attive.

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Schallfeld Ensemble (Foto: ORF musikprotokoll/Martin Gross)

La seconda parte della serata ha visto lo Schallfeld Ensemble eseguire “My fake plastic love” di Sehyung Kim, Dune di Carlo Elia Praderio e Katharina Klements “Monde II”. Quest’ultimo lavoro ha sperimentato una sorta di “prassi esecutiva storica” con due macchine per la miscelazione riparate, in quanto queste ultime erano già state utilizzate in un lavoro precedente della Klement.

A causa delle grandi somiglianze, o meglio, delle grandi affinità in alcune composizioni, la programmazione di questa sequenza di concerti può essere descritta come molto coerente in sé. Tutte le composizioni sono caratterizzate da gruppi di suoni ricorrenti e da un flusso e riflusso opposto. Sehyung Kim lavora con diversi timbri degli strumenti e verso la fine con intervalli sempre più stretti. La composizione di Praderio è stata percepita come minimalista-contemplativa e oscura nella sua impressione generale. Klement utilizza spesso suoni di campane in contrasto con i rumori dei mixer. Le registrazioni elettroniche ampliano il suo cosmo sonoro, caratterizzato anche da passaggi ricorrenti.

Una serata di concerto piena fino all’inverosimile, che ha offerto qualcosa di nuovo, ma anche l’opportunità di fare confronti tra le singole composizioni.

suono stereofonico nel Dom im Berg

suono stereofonico nel Dom im Berg

Il programma – quattro brani più altri tre presentati al concorso Student 3D Audio Competition – ha esemplificato ciò che è stato richiesto al pubblico anche nelle serate successive: La resistenza. Dalle 19.00 alle 22.30 – con brevi pause – sono state proposte esperienze sonore che hanno trovato un pubblico internazionale.

Il primo brano è stato “Organa Quadrupla” di Heinali, che ha utilizzato il suo sintetizzatore modulare per sfruttare le grandiose possibilità sonore del sistema Ambisonics del Dom im Berg. Affascinato dalle strutture polifoniche utilizzate nel Rinascimento, ha impostato la sua composizione in modo simile. Ha prodotto il suono di vecchi organi, di flauti contralti o di una cornamusa, e ha sottolineato le linee melodiche in esecuzione con una sorta di basso continuo. Dopo un’introduzione, ancora interamente legata a un paesaggio sonoro storico, diventa udibile che qui si producono suoni elettronici. L’ingrossamento con l’aumento delle voci si traduce in un suono da cattedrale, in cui un penetrante saliscendi di corse si fa sentire in modo caratteristico. Nell’ultima parte dell’opera viene anche abilmente depositato un ritmo nel basso, che si perde verso la fine. Un’entrata al festival sonicamente riuscita, che non rompe troppo con le nostre abitudini d’ascolto e che quindi ha trovato un grande consenso da parte del pubblico.

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“Organa Quadrupla” – Dom im Berg (Foto: ORF musikprotokoll/Martin Gross)

In netto contrasto con l’opera collaborativa “forest Floodlights” della croata Manja Ristić, nonché di Abby Lee Tee e Franziska Thurner, entrambe austriache. Hanno ricevuto una commissione di composizione nell’ambito di una residenza d’artista SHAPE+ e hanno esplorato il suono di un’area isolata nel Mühlviertel. SHAPE+ è la piattaforma per nuovi entusiasmanti progetti nel campo della musica e delle arti audiovisive della rete di festival ICAS, fondata nel 2014 dal protocollo musicale insieme ad altri quindici festival. https://shapeplatform.eu/ È finanziato dal programma Creative Europe dell’Unione Europea. Una delle sue basi, da cui il trio ha lavorato, è stato il Garage Drushba, fondato in passato da Karl Katzinger. Fino alla sua morte, avvenuta nel 2021, era un luogo di incontro per eventi culturali fuori dagli schemi. Da questo luogo hanno esplorato la zona e creato un diario visivo-uditivo e artistico. Sono state catturate la ricchezza idrica del paesaggio, la lontananza, le antiche scenografie del Garage Drushba, ma anche la bellezza della natura. Grazie alla combinazione di registrazioni sonore e registrazioni dal vivo, si è ottenuta una performance coerente in cui è possibile immergersi in profondità nel confine settentrionale dell’Austria. La realizzazione visiva ha ricevuto una straordinaria componente estetica grazie alla sovrapposizione di diverse registrazioni video. Suoni della natura come il cinguettio degli uccelli, lo scorrere dell’acqua o il fruscio delle foglie secche quando si cammina sopra di esse si sono alternati a suoni elettronici, ma anche a suoni dal vivo di un violino e a suoni di animali. “forest floddlights” è un’opera non solo con un alto valore di riconoscimento, ma che fa venire voglia di guardarla e ascoltarla più di una volta.

L’artista di Taiwan Sabiwa ha presentato “Island N. 16 – Memories of future Landscapes” insieme al suo partner Nathan L.. L’artista descrive l’opera come un luogo della memoria creato durante la pandemia.

Oltre a una variegata installazione video che alterna filmati reali, filmati in cui il materiale reale è stato alienato e filmati puramente generati al computer, l’artista ha creato una rete sonora altrettanto variegata. Le registrazioni sono mescolate con registrazioni dal vivo. Pesci in un acquario, che si vedono nel video, fiori freschi in un vaso da terra sul palco, in cui sono inseriti tubi da giardino, attraverso i quali viene soffiata l’aria, suoni di flauto, quelli di un sassofono alienato e il canto, tutto questo risulta in un caleidoscopio visivo e uditivo, che cambia continuamente forma, colore e suono. All’inizio, il video rimane interamente radicato nel cliché asiatico delle pratiche di bondage, ma presto passa a costellazioni di colori puramente animate al computer, e successivamente a impressioni di paesaggi e città e a riprese ravvicinate di farfalle o vespe che si nutrono. Lo stile complessivo parla di un linguaggio sonoro giovanile con un’alta densità di rumore, in cui i passaggi virano poi verso la psichedelia. “Island N. 16 – Memories of future Landscapes” è un buon esempio della fluidità di fonti musicalmente diverse, che si alternano tra i regni della musica seria e di quella popolare, che non può essere sostenuta in questo modo.

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“OSWYC” – Dom im Berg (Foto: ORF musikprotokoll/Martin Gross)

In OSWYC – il titolo della composizione di Robert Schwarz – combina suoni artificiali e naturali, ma indistinguibili l’uno dall’altro. Con il frinire dei grilli, i rumori del vento e un suono di soffi che attraversa la stanza, egli fa entrare il pubblico nella sua opera. Scricchiolii di porte, un suono simile a una pallina della roulette che rimbalza e un cinguettio accompagnato da un basso sordo si ripetono con lievi variazioni. Un ronzio, un mormorio, un gorgoglio e uno sferragliamento sono interrotti da un tintinnio, seguito a breve distanza dal suono degli insetti. Ancora e ancora, sono i suoni della natura che si pensa di percepire, ancora e ancora i suoni e i rumori vagano per la stanza e fingono ciò che è stato creato solo elettronicamente.

La serata si è conclusa con i contributi di tre studenti che si sono candidati al concorso “Student 3D Audio Competition”. Tutti e tre hanno chiarito quanto siano immersi nella questione delle percezioni spazio-corporee e hanno dimostrato ancora una volta le possibilità di ascolto mozzafiato che il sistema audio del Dom im Berg è in grado di riprodurre.

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